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SEPOLTI DALLA NEVE: UN MORTO



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L’AQUILA - Un brusco rialzo della temperature ha fatto staccare, ieri mattina, una slavina da Monte Cagno sul Sirente, che solo per un caso non ha provocato una strage. Un enorme lastrone di ghiaccio, che a mano a mano ha ”ammassato” neve fresca, ha infatti investito e travolto una comitiva di sedici escursionisti romani, tutti soci del Club alpino italiano. Giancarlo Bernardini, 54 anni, titolare di un ditta che esporta medicinali, ha perso la vita soffocato sotto una tomba di quasi un metro di neve dopo aver rotolato a valle per quattrocento metri. In sette, pur feriti, sono riusciti a cavarsela grazie alla sola qualità che, dicono i montanari, può contrastare una slavina: una massiccia dose di fortuna. Gli altri otto del gruppo hanno invece solo visto muoversi la ”morte bianca” e ne sono usciti indenni.

Con quattro auto, il gruppo era partito da Roma all’alba. Tra loro i componenti si conoscevano appena: avevano visto in bacheca, alla sezione del Cai, il programma dell’escursione e gli era piaciuto. In programma c’era la scalata con i ramponi e sci in spalla del versante Nord di monte Cagno, attraverso il ”canalino” San Martino d’Ocre. chiamato così dal nome della località ai piedi della montagna. Quasi in prossimità della vetta, poco prima di mezzogiorno, la tragedia. Il gruppo di testa, quello formato dai più esperti, ha ”tagliato” camminandoci sopra, una lastra di neve ghiacciata (spessa dai 3 ai 5 centimetri), ammassata nel canalone dal vento sopra lo strato di neve ”farinosa” (circa 70 centimetri) caduta nei giorni scorsi che non s’era ancora compattata con i trenta centimetri, già solidi, della prima nevicata. È stato un attimo. La lastra, turbinando neve farinosa ed ingigantendo sempre di più nella sua discesa, ha preso in pieno il secondo gruppo, in coda al quale c’era Bernardini che in quel momento stava riprendendo fiato. «Ho cercato di restare a galla- dice Luan Fulung, cinese di 35 anni che vive a Roma, anche lui ferito- mentre venivo trascinato da una furia. Ho creduto di morire soffocato dalla neve. Ma sono riuscito a tenere fuori la mano con cui reggevo la piccozza. Poi qualcuno è subito venuto ad aiutarmi». Subito, infatti, chi era rimasto indenne, ha prestato soccorso. Alcuni, tra cui l’ingegner Giorgio Landi, professore ordinario all’Università di Roma e amico di Bernardini, e la Francescone, pur ferita, col suo fidanzato Andrea Morotti, sono scesi a valle a dare l’allarme. Erano da poco passate le 13.

La macchina dei soccorsi è scattata immediatamente. I vigili del fuoco subito approntato un campo-base nei pressi di San Martino. Qui, con due elicotteri (uno dei vigili, l’altro del soccorso aereo di Ciampino) sono arrivati nel punto della slavina gli esperti del Soccorso Alpino. All’Aquila, intanto, il prefetto Calogero Cosenza in persona coordinava le operazioni. Si temeva un massacro. La tempestività degli interventi lo ha evitato. Anche perché la valanga aveva, per fortuna, ”sputato” fuori tutti quelli che aveva travolto, meno uno. Alcuni erano feriti, altri avevano ancora le gambe nella neve: ma con l’aiuto di tre alpinisti del gruppo rimasti nel canalone, gli uomini del soccorso alpino sono riusciti a recuperare tutti. Caricati i feriti sugli elicotteri, in sette sono stati trasportati all’ospedale dell’Aquila: Lucia Piloti, Mario Antonio Servidio, Patrizia Francescone, Luan Fulung, Sante Savini, Mario Faraone e Claudio Guidi, quest’ultimo uno delle guide della spedizione.

All’appello mancava però Bernardini. Si è provato in tutti i modi: coi cani antivalanga, con le sonde, con una piccola ruspa. Nulla da fare, anche perché il gruppo non era dotato degli speciali bip antivalanga. Passavano le ore e le speranze si andavano smorzando. Finché intorno alle 17, quando ormai era buio, è stato trovato il corpo. Era in fondo a un canalone che gli esperti alpinisti avrebbero decisamente sconsigliato.