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FINITO L'INCUBO DEI VRBANOVIC



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Con la cattura a Belgrado della famigerata banda degli slavi ricercata in tutta Italia per aver lasciato dietro di sè una impressionante scia di sangue, si allenta forse la tensione anche in Abruzzo. Soprattutto nella Marsica era infatti nel mirino degli investigatori da quando è cominciata la caccia al pericolo pubblico numero uno: i Vrbanovic.

L’incubo cominciò quella sera dell’11 novembre del 1986 a Pescina, quando Nenad Vrbanovic, uno dei tanti fratelli di questa sanguinaria famiglia iugoslava, violentò ed uccise la povera Marina C., una studentessa di Avezzano che si era appartata in auto con il suo amante. Fu allora che la Marsica conobbe la ”belva” dai mille nomi e dai mille reati. Ma prima che potesse colpire ancora, Nenad venne arrestato, e condannato dalla Corte d’Assise dell’Aquila, per una lunghissima serie di reati, al secondo ergastolo dopo quello inflittogli a Napoli per l’assassinio della sua giovane moglie. E il passaggio in Abruzzo di Nenad Vrbanovic, da allora in gabbia nei carcere di Fossombrone, sembrò occasionale.

A quel passaggio, nei giorni scorsi, si è invece tornato a dare particolare importanza. Scattate le ricerche a tappeto, in tutta la penisola, della banda degli slavi accusati della strage di un’intera famiglia a Pontevico di Brescia e di altri numerosi assassinii, stupri e rapine, tutti legati dall'accertata presenza di una pistola da Far West, una ”Magnum 357”, il capo della Polizia Parisi aveva chiesto la massima attenzione per acciuffare il pericolosissimo ”Manolo”. Ovvero quel Ljubisa Vrbanovic, fratello maggiore di Nenad, il più feroce dalla famiglia, che, riuscito in Jugoslavia ad evadere, aveva riunito attorno a sè altri suoi fratelli, tra cui Miso anche lui arrestato a Belgrado, e alcuni altri complici per seminare il terrore un po’ ovunque.

Quel passaggio del fratello minore Nenad poteva non essere occasionale, aveva ipotizzato alla fine di settembre la Criminalpol anche sulla base dei pareri di psicologi. Studiando i vari folli ”colpi” attribuiti ai Vrbanovic, gli esperti sono arrivati a stabilire che i membri di questa famiglia, forse perchè schiavi del complesso di Edipo, assillati dalla bassa statura e ossessionati dallo spettro dell'impotenza, ai sentono molto insicuri e perciò, spesso tornano nei luoghi dove sono già stati e che conoscono meglio. Nenad, ad esempio, aveva mostrato di conoscere benissimo la Marsica. Perchè non anche i suoi fratelli?

Su questa ”pista” si è mobilitata la Squadra mobile dell’Aquila il cui dirigente, il dottor Pasqualino Cerasoli, ha attivato una maxi-operazione che è stata seguita con particolare attenzione dalla Criminalpol per i risultati che man mano emergevano. Ad un certo punto, infatti, si è pensato che Manolo potesse essere finalmente preso proprio in Abruzzo. Dopo alcuni controlli degli agenti della Mobile aquilana, era saltato fuori che Ljubisa era stato visto spessissimo in un centro vicino Avezzano, che tutt’oggi, anche dopo l’arresto dei Vrbanovic a Belgrado, viene tenuto top-secret per l’eventualità che si possa prendere qualche suo complice o componente della banda ancora in circolazione in Italia.

La certezza che Ljubisa era stato molto di recente, nella Marsica, si è avuta quando più di una persona (un macellaio, il postino, alcuni vigili urbani, altri cittadini) lo ha riconosciuto nelle foto segnaletiche diramate in tutte le Questure d'Italia. «È lui, e certo» hanno detto persone diverse guardando foto diverse di Ljubisa che forse ha utilizzato come rifugio i campi nomadi presenti numerosi nella Manica servita benissimo da un'autostrada da assai utile per fuggire in qualsiasi momento.

NOTA: Per una sorta di "diritto all'oblio", sono omesse le complete generalità di alcuni protagonisti che, d'altra parte, non aggiungerebbero nulla al dramma e che, peraltro, sono pubblicate nella versione originale cartacea facilmente consultabile nelle pubbliche emeroteche.