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CARCERE A VITA PER ”LA BELVA”



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La belva è morta: la giustizia gli ha dato il colpo di grazia, infliggendogli il secondo ergastolo. Nenad Vrbanovic 21 anni, il nomade slavo che per anni si è lasciato dietro una scia di sangue uccidendo sua moglie, seviziando ed assassinando una ragazza di Avezzano, sequestrando e stuprando una bimba di 7 anni, compiendo rapine e un’infinità di furti, non potrà vivere abbastanza per scontare le proprie condanne. All’ergastolo a cui era stato condannato, nel marzo scorso, dalla Corte d’Assise di Napoli, per l’uxoricidio dell’ottobre ’85 a Sant’Arpino (Caserta), si è aggiunta un’altra condanna a vita inflittagli ieri dall’Assise dell’Aquila.

La Corte aquilana (Villani presidente, Cappa a latere e sei giudici popolari) ha ritenuto colpevole Vrbanovic, alias Slavuj Trakovic, di tutti i ventisei capi d’imputazione per i quali era stato rinviato a giudizio. Lo slavo aveva confessato, già in istruttoria e quindi altro ieri durante la prima udienza del processo, tutti i delitti per i quali era stato accusato meno lo stupro ad una bambina di 7 anni di Montepulciano (Siena). I giudici lo hanno ritenuto colpevole anche di questo aberrante reato che lo stavo si è ostinato a negare per evitare sia la ”condanna” del suo gruppo nomade sia problemi durante la detenzione. I reati sono stati unificati sotto il vincolo della continuazione e Vrbanovic è stato condannato anche ad un anno di isolamento diurno in carcere.

Oltre alla sequenza dei delitti di cui lo slavo era accusato, sulla sentenza hanno certamente pesato tanto l’ergastolo per uxoricidio (condanna che non figura nel certificato penale del nomade perchè ancora non passata in giudicato e di cui si è avuta notizia solo l’altro ieri), quanto i durissimi interventi della parte civile e dalla pubblica accusa. L’avvocato Sergio Catatdi, rappresentante dei familiari dei Marina C., la studentessa di Avezzano violentata ed uccisa con due colpi di pistola mentre si intratteneva in una località appartata nei pressi di Pescina, in auto con il suo amante Antonio T., 45 anni, di Pratola Peligna, prima se l’è presa con quest’ultimo, presente in aula per testimoniare. «Uno sciocco e pavido protagonista di una storia più grande di lui, di cui non riesce ancora a comprendere la dimensione reale»: così Cataldi ha apostrofato il professore T. per non aver saputo difendere la «povera Marina». Quindi ha inveito contro «la ”belva” che è stata abbandonata anche dal suo clan perchè così feroce da non meritare la solidarietà dei nomadi"». Infine, Cataldi ha sottolineato che i familiari non chiedono denaro, ma si sono costituiti parte civile «solo per difendere la memoria di una ragazza meravigliosa». Insomma la parte civile, pur non avendo facoltà di avanzare richieste, ha parlato egualmente d’ergastolo.

A chiederlo ci ha pensato il pubblico ministero Mario Ratiglia in una requisitoria breve e lucidissima. «L’unico dubbio di questo processo-ha detto Ratiglia- è se T. fece quanto era nelle sue possibilità per proteggere la C.. Col senno di poi possiamo dire di no, ma si trovava anche di fronte ad una ”bestia”... un soggetto pericolosissimo che non merita clemenza da voi giudici. Non fatevi ingannare dalla sua apparente mansuetudine nè dalla tua confessione ”a rate”: quel giovane è la stessa persona che aveva ucciso sua moglie e per il quale non sono bastate le lettere dell’alfabeto per elencarne i capi d’imputazione».

Il Pm, formulando le sue richieste, ha specificato di unificare i reati commessi sotto il vincolo della continuazione perchè altrimenti per la pena si raggiungerebbero cifre astronomiche. Perciò ha chiesto 27 anni in totale per gli altri reati e, per l’omicidio e il tentato omicidio, l’ergastolo in cui ricomprendere, ovviamente, tutta la condanna. A nulla è servita la garbata arringa dell’avvocato aquilano Marzio Del Tosto, difensore nominato d’ufficio dalla Corte dopo che ben quattro legali avevano rinunciato a difendere in termini di fiducia Vrbanovic anche se ieri, uno di essi, Carmine Rea di Napoli, si è presentato in aula. Del Tosto, come avvocato, ha cercato di dimostrare che l«a bestia», in quanto tale, non è persona normale e la perizia psichiatrica, nella quale Vrbanovic viene definito soggetto privo di valori morali ma capace di intendere e di volere, è carente; come uomo, ricordando «la dolcissima Marina» ha chiesto comprensione ai giudici per la giovane età dell’imputato e per consentire il suo recupero: «la ”belva”- ha concluso- si è autodistrutta, è morta. Facciamo in modo che ora possa nascere l’uomo».

NOTA: Per una sorta di "diritto all'oblio", sono omesse le complete generalità di alcuni protagonisti che, d'altra parte, non aggiungerebbero nulla al dramma e che, peraltro, sono pubblicate nella versione originale cartacea facilmente consultabile nelle pubbliche emeroteche.