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SU VRBANOVIC L’OMBRA DI PIU’ ERGASTOLI



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L’AQUILA - Il suo certificato penale risulta pulito (”nulla” recita la stampigliatura) ma in realtà, Nenad Vrbanovic, la ”belva”, ha già avuto una condanna all’ergastolo inflittagli dalla Corte d’Assise di Napoli. Ora rischia un’altra condanna a vita. Dalla Corte d’Assise dell’Aquila davanti alla quale, ieri mattina, è iniziato il processo al ventunenne slavo accusato di aver violentato ed ucciso una ragazza, sequestrato e stuprato una bambina, di aver tentato di ammazzare un uomo, di aver compiuto tante rapine, innumerevoli furti ed altro.

Vrbanovic è stato condannato all’ergastolo, nel marzo scorso a Napoli, per uxoricidio: secondo i giudici il 10 ottobre ’85, nel campo nomade di Sant’Arpino in provincia di Caserta, uccise la moglie Lilia Bancolovic con determinata volontà e non, come lui ha sostenuto, perché vi fosse costretto per legittima difesa. In quel processo Vrbanovic figurava come Ivan Maic: è noto che lo slavo ha abusato di vari nominativi (in Abruzzo è conosciuto come Slavuj Trakovic) fino all’individuazione di Nenad Vrbanovic a conclusione di un’elaborata ricerca fatta in collaborazione con l’Interpol.

La sentenza della Corte d’Assise di Napoli stata ieri acquisita agli atti dai giudici aquilani. L’avvocato Marzio Del Tosto, difensore dello slavo, nominato d’ufficio dalla Corte (Villani presidente, Cappa a latere) dopo la rinuncia di ben quattro legali ad assistere in termini di fiducia l’imputato, si è sforzato di far capire ai giudici popolari che si tratta di un precedente ”giudiziario”, non ”penale”, avendo Vrbanovic interposto appello e dovendo la sentenza passare in giudicato. Ma la parola ”ergastolo” ha fatto ugualmente presa sui giudici non togati, impressionati dal trovarsi a giudicare un giovane («capace di intendere e di volere» secondo la perizia psichiatrica) che in questo processo risponde di ben ventisei capi d’imputazione e per nulla impietositi dal timido atteggiamento, dietro le sbarre, dell’imputato.

Le accuse, la ”belva”, le ha ammesse tutte, come aveva già fatto in istruttoria. Tutte, meno la violenza carnale su una bambina, di sette anni, di Montepulciano, in provincia di Siena. Il particolare è trapelato dalla prima udienza di ieri che si è svolta, per la prima parte, a porte chiuse. Un provvedimento dettato dall’esigenza di proteggere le presunte vittime della brutalità di Vrbanovic: la bambina di Montepulciano stuprata, e la studentessa di Avezzano Marina C., violentata e poi assassinata. «Non rifarei quello che ho fatto», avrebbe detto Vrbanovic. Un pentimento tardivo e strumentale a giudizio delle parti civili, perchè certamente suggeritogli nel secondo interrogatorio: arrestato il 18 ottobre dell’86 a Rimini per furto e rapina in alcune abitazioni, Vrbanovic fu riconosciuto in Tv dai parenti della moglie uccisa a Sant’Arpino, e su di lui caddero anche i sospetti sia degli inquirenti di Avezzano che indagavano sull’omicidio della C., sia di quelli di Montepulciano che invece si stavano occupando di una violenza su una bambina. Le vicende avevano per protagonista «un marocchino», che tutti i testimoni riconobbero nella foto segnaletica di Slavuj Trakovic, alias Ivan Maic, alias tanti altri nomi.

Interrogato in carcere, Vrbanovic negò ogni accusa. Poi, si dichiarò ”pentito” confessando tutto, meno la violenza sulla bambina perchè reato che suscita ribrezzo anche alla morale nomade. Vrbanovic avrebbe commesso il reato contro la bimba nella ”guerra” che aveva scatenato nel tentativo di liberare i suoi genitori in carcere per furto. Avrebbe ammazzato la bimba sequestrata, minacciò telefonicamente, se i suoi genitori non fossero stati scarcerati.

”La belva” ha ammesso, quindi, di aver violentato ed assassinato la povera Marina C. in quella maledetta serata dell’11 ottobre dell’86. La ventisettenne di Avezzano si stava intrattenendo in macchina con l’amico, Antonio T., 45 anni di Pratola Peligna in una località appartata nei pressi di Pescina. Vrbanovic prima rapinò i due, poi abusò della ragazza, quindi, inferocito, uccise la poveretta e ferì T. (che riuscì a fuggire) con la pistola ”Beretta” che aveva rubato nell’abitazione del sindaco di San Sebastiano di Bisegna.

Ieri mattina nè T., citato parte offesa, nè il suo legale, si sono presentati, come non c’erano i parenti della C., rappresentati dall’avvocato Sergio Cataldi di Avezzano. T., stamattina, dovrà presentarsi come testimone. Lui ed altre persone devono testimoniare, poi parlerà la parte civile, quindi il pubblico ministero Mario Ratiglia e il difensore di Vrbanovic. Forse in serata la sentenza.

NOTA: Per una sorta di "diritto all'oblio", sono omesse le complete generalità di alcuni protagonisti che, d'altra parte, non aggiungerebbero nulla al dramma e che, peraltro, sono pubblicate nella versione originale cartacea facilmente consultabile nelle pubbliche emeroteche.