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QUELLA MALEDETTA SERA A PESCINA



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La folla storia di violenza di Vrbanovic, l’11 ottobre ’86, s’intreccia con la tenera e ”proibita” storia d’amore di un professore e la sua ex alunna, Antonio T., 45 anni, di Pratola Peligna, ex calciatore, uomo impegnato politicamente, professore di filosofia al Liceo Classico di Sulmona, sposato con un’insegnante, aveva intrecciato una relazione con la giovane Marina C., 27 anni, figlia di un noto imprenditore avezzanese, Luigi C., studentessa iscritta all’Università di matematica di Roma.

Tra non pochi pettegolezzi, i due continuavano a vedersi. Quel giorno maledetto s’erano incontrati alla stazione ferroviaria di Pescina. Lui, da qualche tempo, aspettava che lei arrivasse col treno: poi, sulla ”Jetta” Wolkswagen del professore, raggiungevano una zona appartata, vicino ad un casello ferroviario abbandonato a Pescina, nei pressi dell’autostrada A25. I due notarono, mentre si appartavano, un marocchino, ma non si insospettirono. Vrbanovic, invece, li aveva già ”puntati” e mentre i due erano nell’intimità, bussò al finestrino. Si fece consegnare alcune centinaia di mila lire, ma non rubò i gioielli della ragazza. Stanco, si mise a chiacchierare con la coppia, offrì delle sigarette e riconsegnò anche alcuni soldi. Voleva aspettare il buio per fuggire indisturbato e nell’attesa beveva vino. Costrinse i due, sotto la minaccia di una pistola, a seguirlo fino alla sua Fiat 124 parcheggiata poco lontano: da qui, con T. alla guida, i tre ritornarono dove era la ”Jetta”. A questo punto Vrbanovic sembrò colto da un raptus: chiuse nel portabagagli T. e poco lontano violentò la povera C.. Sembrava essersi calmato, e i due malcapitati dopo aver invano cercato di convincerlo ad andarsene, tentarono di fuggire. Ma la ragazza inciampò e Vrbanovic li raggiunse. Inferocito, continuava a bere vino e voleva violentare ancora la ragazza che, instintivamente, insultò lui e suo padre. In Vrbanovic esplose la follia: sparò sulla ragazza, colpendola a morte, e ferendo gravemente il professore che cercava di fare scudo col suo corpo. T., pur ferito, riuscì a scappare fino alla vicina autostrada, fermò un auto di passaggio e raggiunse l’ospedale di Pescina da dove fece scattare l’allarme: ma la ”belva” era già lontana.

NOTA: Per una sorta di "diritto all'oblio", sono omesse le complete generalità di alcuni protagonisti che, d'altra parte, non aggiungerebbero nulla al dramma e che, peraltro, sono pubblicate nella versione originale cartacea facilmente consultabile nelle pubbliche emeroteche.