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TRE ANNI FA - IL TERZO ANNIVERSARIO DELL'INVINCIBILE AVVOCATO CECCHINI



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L’AQUILA - Invincibile. Se c’è un simbolo di questo terzo anniversario del sisma, quello è l’avvocato Attilio Cecchini. Un doppio simbolo. Innanzitutto di speranza, a dispetto dei suoi 87 anni, visto che proprio ieri «don Attilio» è tornato a casa dopo una lunga degenza in ospedale per il drammatico incidente stradale, il 22 febbraio scorso, quando si schiantò alla guida della sua utilitaria con un mezzo pesante dei vigili del fuoco facendo temere il peggio. Ma anche uno snodo dell’aquilanitas: ex giornalista in Venezuela negli anni ’50 citato da Garzia Marquez; poi avvocato penalista fino alla fama nazionale; candidato sindaco (sconfitto) della società civile nel 1994; difensore gratis, per principio, del «mostro di Balsorano» Michele Perruzza; dopo il sisma, difensore da un lato dei costruttori in molti processi tra cui quello simbolo della Casa dello Studente e, dall’altro, di parte civile in quello della Commissione Grandi rischi.

Domanda: Don Attilio, nel terzo anniversario, lei festeggia la «sua» ricostruzione...
Risposta. «Il risveglio in Rianimazione fu drammatico: nulla ricordavo come oggi nulla ricordo. Ho saputo dopo che fui consegnato nella mani del chirurgo Gianfranco Amicucci, cui devo la vita. Nei dodici giorni della mia discesa agli inferi ho potuto rendermi conto che la efficienza e l’abnegazione dell’équipe di Tullio Pozone sono al di sopra di ogni elogio e meritano di essere additati all’ammirazione e alla riconoscenza degli aquilani. La quarantena si è conclusa nel reparto di Pneumologia, guidato da Alfeo Fioredonati, ove ho sperimentato lo stesso altissimo livello professionale di impegno istituzionale. Sono un redivivo, ma conto e spero di portare a compimento gli impegni professionali perchè ho provato sulla mia pelle la consegna di Nietzsche che tutto ciò che non ci distrugge, ci rende più forti. Ciò valga soprattutto per l’avvenire dell’Aquila».

Domanda: Parliamo dei processi sui crolli
R. «Sta emergendo che non si poteva fare di tutta l’erba un fascio. In particolare, per quanto attiene al processo-simbolo della Casa dello Studente, un fatto è certo: la collaudazione dello stabile venne certificata all’origine come conforme alla legge dal Provveditorato regionale alle Opere pubbliche. Gli atti amministrativi che ne consentirono il collaudo sono assistiti da una presunzione di legittimità che costituisce un principio base del sistema positivo. L’intera filiera degli interventi ha diritto di invocare il cosiddetto principio di affidamento. Il che significa che chi succede a un altro che abbia correttamente operato non ne può indubbiare la legittimità».

Domanda: E quanto invece alla Commissione Grandi rischi?
R. «La convocazione della Commissione da parte della Protezione civile, è ormai evidente, alla luce della documentazione acquisita al processo, non fu altro che una preordinata operazione mediatica tesa a tranquillizzare la popolazione. Vedo due errori in cui caddero Bertolaso e i tecnici da lui convocati. Primo: aver fatto dello sciame sismico all’epoca in corso una valutazione riduttiva e fuorviante. Secondo: aver assunto l’iniziativa del 30 marzo all’unico scopo di squalificare il contributo scientifico che andava dando, giorno per giorno, un tecnico innovatore, Giampaolo Giuliani. L’apparato istituzionale insorse contro l’indebita interferenza di quest’ultimo. La parola d’ordine era silenziare Giuliani. Sappiamo come è andata. Ho chiamato Giuliani a riferire in udienza la complessa vicenda dei rapporti che egli ebbe con la struttura governativa, del trattamento che ricevette e del risentito rigetto dell’imminenza della scossa delle 3 e 32 che egli aveva previsto ed annunciato sulla base dei picchi di gas radon registrato dai suoi strumenti. Di questo si dovrà discutere nel processo che, ribadisco, non è un processo nè alla scienza nè agli scienziati ma alle tesi di Stato».

D.: E la ricostruzione dell’Aquila?
R.. «È un impegno gigantesco che investe la comunità e prescinde dai singoli: già dissi che il Senato ci avrebbe imposto un “dictator rei gerendae”, ma i Romani erano i romani mentre noi siamo le feccia di Romolo».

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Angelo De Nicola